Studenti denunciati per uso improprio dell’AI per lo svolgimento dei compiti: parliamo di responsabilità individuale o di necessità di alfabetizzazione digitale?

Ogni volta che una nuova tecnologia si affaccia sul panorama scolastico, le istituzioni e il loro approccio tendenzialmente conservativo tendono a resistere. Ora, immaginate di vietare l’uso di calcolatrici in una lezione di matematica o di escludere internet dai progetti di ricerca scolastici. Suona un po’ anacronistico, vero? Eppure, fino agli anni ’90 le calcolatrici erano davvero vietate in classe. Nello stesso periodo i computer sono stati introdotti solo in alcune scuole – dopo una fortissima resistenza negli anni ’80 – ma relegati a meri progetti sperimentali: gli insegnanti consideravano l’informatica una distrazione dalle materie importanti e la loro mancanza di formazione in merito contribuì largamente a queste resistenze.
Sembra quasi che la storia si ripeta e, oggi, con la diffusione sempre maggiore delle AI, le scuole continuano il loro braccio di ferro con il progresso.
Dobbiamo domandarci: l’AI è comparabile alla calcolatrice e al computer? O invece, dato il suo enorme potere rispetto agli altri due strumenti, deve essere trattata con più cautela?
Pur ravvisando delle ovvie differenze, il pattern sembra essere sempre lo stesso: il progresso rende disponibile un nuovo strumento, si incontrano forti resistenze, si pensa che sconvolgerà il “naturale” andamento delle cose e poi ci si abitua. Se per tutta la nostra vita è stato di fondamentale importanza saper far di conto velocemente, e se su questa skill abbiamo costruito tutta la nostra carriera, risulta comprensibile guardare con riluttanza una calcolatrice, una scatoletta elettronica che ci ruba il lavoro. Altrettanto plausibile pensare che, per colpa della calcolatrice, i giovani d’oggi cresceranno come degli incompetenti. Eppure non è così, e persino le stime dell’ISTAT sull’analfabetismo funzionale ce lo dimostrano.
Il panorama scolastico
Negli scorsi mesi il caso di due studenti del Massachusetts denunciati per aver utilizzato l’AI durante i compiti ha scatenato un dibattito acceso. I ragazzi avrebbero consegnato un elaborato interamente prodotto da AI, senza alcuna revisione, modifica o check delle fonti e dei dati. I docenti, di risposta, hanno provveduto a sospendere i giovani, chiarendo che il regolamento scolastico vieta l’uso della tecnologia per lo svolgimento dei suddetti compiti.
Nonostante le famiglie degli studenti abbiamo citato gli insegnanti a giudizio – accusandoli di bullismo e violenza – i giudici avrebbero sostenuto la posizione dei docenti, dichiarando che per integrità etica gli studenti dovrebbero usare i mezzi tecnologici come strumento per semplificare il processo del proprio lavoro, non per evitare i compiti.
Condivisibile, sicuramente, ma qui in VISIONARI amiamo sollevare quesiti: come può uno studente usare l’AI come strumento di supporto se nessuno gli insegna a farlo?
Non stiamo parlando di un problema del tutto sconosciuto, anzi, è una tematica attuale che vede l’analfabetismo digitale come proprio cuore pulsante. Generazioni di persone non formate all’uso del PC hanno lasciato che la generazione successiva imparasse da sola, senza una guida. Il risultato? Il computer è diventato lo stesso uno strumento indispensabile in qualsiasi ambito, c’è chi sa usarlo bene perché si è formato e chi, invece, ancora si domanda come convertire un file word in pdf.
Educare e formare invece che vietare
Partecipare a una gara di biciclette guidando una moto va contro le regole, tanto quanto va contro la legge farsi svolgere l’esame di maturità da un’AI. Questo significa che l’uso dell’AI, tanto quanto quello di qualsiasi altra tecnologia, deve essere responsabile, etico e determinato.
Se, da una parte, possiamo lasciare la responsabilità di determinarne l’uso e l’etica alle normative europee di riferimento – come l’AI Act e gli standard ISO/IEC del 2022 e del 2023 che offrono linee guida e standard di etica – dall’altra l’uso responsabile è anche in mano a noi. La storia ci insegna che non sarà vietando l’uso delle AI nelle scuole che ne fermeremo la diffusione, anzi. I nostri giovani useranno comunque le AI, ma senza sapere esattamente come fare.
L’educazione si declina in tre forme principali: quella formale, impartita nelle istituzioni scolastiche, quella non formale, derivata da esperienze educative organizzate e quella informale, dettata dall’apprendimento spontaneo nella vita quotidiana, attraverso le esperienze personali. Lasciare ai giovani la responsabilità di educarsi da soli, senza supportarli all’interno del sistema scolastico, è una scelta assolutamente folle.
Ma ora è arrivato il momento di domandarci: c’è qualcuno, nelle scuole, in grado di insegnare ai ragazzi come usare le AI?
La responsabilità degli adulti: il lifelong learning
È realistico aspettarsi che un insegnante prepari gli studenti all’uso dell’AI se egli stesso non ne comprende le basi? Certo che no. Ecco perché il concetto di lifelong learning, o apprendimento permanente, è più attuale che mai. Nella società 5.0, dove tecnologia e umanità si intrecciano, la capacità di aggiornarsi costantemente è ancora più fondamentale.
Partiamo quindi dal formare gli insegnanti, di modo che saranno essi stessi a educare a un uso consapevole ed etico delle tecnologie. Non vietare, ma permettere di comprendere. Non negare, ma accompagnare all’uso. Non proibire, ma spiegare le ragioni e i perché.
Non dimentichiamo che gli adulti non sono solo guide per i giovani, ma anche esempi su come si devono affrontare i cambiamenti. Parliamo di una vera e propria responsabilità sociale che pende sulle teste degli educatori, ma che è cruciale per governare il progresso e garantire che la tecnologia rimanga al servizio dell’uomo e non il contrario.
Umanocentricità e tecnologia
La conoscenza è il presupposto fondamentale per governare gli strumenti a nostra disposizione, l’ago della bilancia che determina l’usare o il farsi usare dallo strumento: una differenza sottile ma cruciale. Quando uno studente mette totalmente in mano all’AI i propri compiti sta inconsapevolmente lasciando che la tecnologia lo schiacci. Si sta rendendo dipendente dalla tecnologia senza rendersene conto.
È qui che entra in gioco il principio di umanocentricità. La tecnologia è uno strumento, non un fine. Può aiutarci a risolvere problemi complessi, ma non deve mai sostituirsi al pensiero critico, all’empatia o alla creatività umana.
Corriamo sempre più velocemente verso il futuro e ormai sembra che non possiamo più permetterci di restare fermi. La tecnologia può essere una condanna o un’opportunità straordinaria per rendere il domani un giorno migliore, tutto dipende da noi: educhiamoci, educhiamo e impariamo a governare il cambiamento.